Quando la luce cura il tumore: la nuova frontiera della radioterapia con la Flash Therapy

Quando la luce cura il tumore: la nuova frontiera della radioterapia con la Flash Therapy

Una radioterapia che colpisce il tumore in meno di un secondo. Un singolo impulso capace di distruggere le cellule cancerose risparmiando quelle sane, in un modo molto più efficace e veloce rispetto alle tecniche convenzionali. Niente lunghe sedute, nessun ciclo ripetuto per settimane, nessun tempo di attesa tra una dose e l’altra: la terapia si conclude in una sola sessione, tempo totale dell’irradiazione, pochi decimi di secondo. Si chiama FLASH Therapy, e rappresenta una delle frontiere più promettenti della medicina oncologica contemporanea.

L’origine dell’Effetto FLASH

All’origine di questa idea c’è il cosiddetto “oxygen effect” e per capire le basi di questa rivoluzione bisogna tornare indietro di oltre sessant’anni. Nel 1959 due ricercatori britannici, D.L. Dewey e J. Boag, pubblicarono su Nature un breve ma rivoluzionario articolo dal titolo Modification of the oxygen effect when bacteria are given large pulses of radiation. L’esperimento era semplice: batteri esposti a impulsi brevissimi e intensi di radiazione subivano meno danni rispetto a quelli irradiati più lentamente. Il risultato appariva paradossale. Perché una dose identica di radiazione, se somministrata più in fretta, era meno distruttiva? Dewey e Boag ipotizzarono che i primi microsecondi dell’impulso di radiazione ionizzante consumassero rapidamente l’ossigeno disciolto all’interno della cellula. Poiché l’ossigeno è un potente “fissatore” dei danni radiobiologici, cioè stabilizza i radicali liberi e rende le lesioni del DNA permanenti, la sua improvvisa riduzione provoca una condizione di ipossia transitoria. In altre parole, la cellula diventa per qualche istante più resistente alle radiazioni. Questo fenomeno, noto come effetto FLASH, sarebbe rimasto a lungo una curiosità di laboratorio, fino alla rinascita d’interesse degli ultimi anni.

Il ritorno della ricerca

Solo a partire dal 2014, l’effetto FLASH è tornato al centro della ricerca radiobiologica grazie ai lavori di un gruppo francese guidato da Vincent Favaudon presso l’Institut Curie. Utilizzando fasci di elettroni ad altissimo rateo di dose, il team dimostrò che nei topi (modelli murini) la somministrazione ultraveloce di radiazioni (oltre 40 Gy* al secondo) riduceva drasticamente la fibrosi polmonare, una delle complicanze più temute della radioterapia convenzionale, senza compromettere l’efficacia antitumorale.

Era la prima dimostrazione moderna che l’effetto FLASH poteva avere un valore terapeutico reale.

Da allora, la letteratura scientifica sull’argomento è esplosa. Studi successivi hanno confermato che il fenomeno non si limita ai polmoni: in topi irradiati a tutto cervello, la memoria e la plasticità neuronale rimanevano intatte dopo trattamenti FLASH, mentre nei modelli su maiale si osservavano minori danni cutanei e intestinali

L’irradiazione ultrarapida sembrava proteggere selettivamente i tessuti sani, riducendo infiammazione e necrosi, senza compromettere l’uccisione delle cellule tumorali.

Come funziona la Flash Therapy

Il termine “FLASH” non indica una tecnologia specifica, ma una condizione di dose rate estremo: per rientrare nella definizione, l’irraggiamento deve avvenire con velocità superiori a 40 Gy/s, contro gli 0,01–0,1 Gy/s tipici dei trattamenti convenzionali. A queste velocità, l’intera dose terapeutica (ad esempio 10–20 Gy) viene erogata in pochi millisecondi. L’effetto non è banale da ottenere. Servono acceleratori di particelle capaci di produrre fasci estremamente intensi e stabili, con sistemi di controllo che garantiscano una distribuzione spaziale omogenea della dose in tempi ridottissimi. Anche la misurazione della dose (dosimetria) è complessa: i rivelatori tradizionali non sono progettati per impulsi così brevi. Si usano oggi dosimetri basati su Electron Paramagnetic Resonance (EPR) con alanina, film radiochromici (EBT3, EBT-XD) o scintillatori ultraveloci, calibrati per rispondere in regime FLASH (cioè, appunto a ratei di dose elevatissimi).

Meccanismi biologici ipotizzati

Nonostante i risultati incoraggianti, i meccanismi molecolari che spiegano l’effetto FLASH restano in parte sconosciuti. Le ipotesi principali coinvolgono:

  • Deplezione transitoria dell’ossigeno: durante l’irradiazione ultrarapida, la formazione massiva di radicali liberi consuma in microsecondi l’ossigeno disponibile, riducendo la fissazione dei danni radiobiologici.
  • Riduzione dello stress ossidativo cronico: i tessuti sani possiedono sistemi antiossidanti più efficienti rispetto ai tumori e riescono a gestire meglio l’impennata di radicali generata dal fascio.
  • Effetti vascolari e immunitari: l’irradiazione FLASH sembra preservare l’integrità dei vasi e modulare la risposta infiammatoria, favorendo la riparazione dei tessuti sani.

In sintesi, il vantaggio FLASH deriverebbe da una combinazione di meccanismi fisici, chimici e biologici che operano su scale temporali estremamente brevi. Comprendere a fondo questi processi è oggi una delle priorità della ricerca radiobiologica.

Dalla teoria alla pratica

Il salto verso la clinica è arrivato nel 2018 al Centre Hospitalier Universitaire Vaudois (CHUV) di Losanna. Un paziente affetto da linfoma cutaneo è stato trattato con una singola dose di 15 Gy in 90 millisecondi, utilizzando un fascio di elettroni ad altissimo rateo di dose. Il trattamento è stato ben tollerato e ha prodotto una risposta clinica rapida, con minimi effetti collaterali [5]. È stato il primo caso documentato di FLASH Therapy sull’uomo.

Nel 2020, il Proton Therapy Center di Cincinnati ha inaugurato lo studio clinico FAST-01, il primo a testare la FLASH Therapy con protoni su pazienti affetti da metastasi ossee dolorose [6]. Anche qui, i risultati preliminari sono stati promettenti: il trattamento si è dimostrato sicuro, efficace nel controllo del dolore e con tossicità ridotta. Un secondo studio, FAST-02, è in corso per estendere la sperimentazione a tumori superficiali e verificare la riproducibilità dei risultati.

In futuro la radioterapia potrebbe trasformarsi radicalmente

Se i risultati preclinici e i primi trial saranno confermati, la FLASH Therapy potrebbe trasformare radicalmente la radioterapia. Un trattamento ultrarapido ridurrebbe l’esposizione del paziente, migliorando la qualità della vita e l’aderenza terapeutica. La protezione dei tessuti sani aprirebbe la strada a dosi più alte per seduta, potenzialmente più efficaci contro tumori radioresistenti. In prospettiva, la FLASH Therapy potrebbe essere integrata con immunoterapia e chemioterapia mirata, sfruttando la minore tossicità sistemica per trattamenti combinati più intensi e brevi.

Per ora, tuttavia, si tratta di un approccio sperimentale. Gli studi su larga scala sono ancora limitati e restano incognite sulla risposta differenziale tra tessuti, sugli effetti a lungo termine e sulla sicurezza in regioni critiche come il cervello o il midollo spinale.

Le sfide delle nuove infrastrutture

Parallelamente alla ricerca biologica, si stanno sviluppando nuove infrastrutture dedicate.

A Losanna, in collaborazione con il CERN e la società THERYQ, è in costruzione il primo centro clinico al mondo per la radioterapia FLASH con elettroni ad alta energia (FLASH-HE). L’impianto utilizzerà un acceleratore lineare compatto, capace di trattare tumori profondi con precisione millimetrica e una durata d’irradiazione inferiore ai 100 millisecondi. L’obiettivo è dimostrare che la tecnologia può essere integrata in un ambiente ospedaliero standard, con costi e procedure comparabili a quelli attuali.

Nonostante l’entusiasmo, la strada verso l’adozione clinica diffusa è ancora lunga.

Tra gli ostacoli principali rientrano la scarsità di apparecchiature dedicate: pochi centri dispongono di acceleratori in grado di raggiungere i tassi di dose richiesti e, come già accennato, la necessità di dotarsi al più presto di metodi di dosimetria accurati: servono nuovi standard metrologici e strumenti dedicati al regime ultrarapido.

Ovviamente poi si deve affrontare il tema della variabilità biologica, cioè della diversa risposta si tumori e tessuti e sondare quindi scenari variegati. La tecnica è agli albori e sono quindi ancora necessari trial clinici ampi e controllati, con follow up pluriennali.

La promessa prende forma

La FLASH Therapy è al momento in una fase cruciale di transizione: ha superato la prova di principio, ha dimostrato la propria fattibilità tecnica e tollerabilità clinica, ma necessita ancora di dati solidi a lungo termine.

Il potenziale è, come evidente, straordinario. Una terapia che, in una frazione di secondo, concentra la potenza distruttiva delle radiazioni solo dove serve, preservando il resto dell’organismo, rappresenta una delle promesse più concrete di una oncologia più rapida, precisa e umana e si tratta di una promessa che non appartiene più al futuro remoto, ma a un presente in rapido movimento.

Conclusione

Nel giro di pochi anni, la parola radioterapia potrebbe assumere un significato completamente nuovo: un lampo di luce invisibile, capace di colpire il tumore e risparmiare la vita.

Prof.ssa Sara Della Monaca

Docente a contratto di Fisica Medica (PHYS-06/A)

Corso di laurea di Medicina e Chirurgia