Il COVID-19 ha avuto un impatto senza precedenti sulla salute globale. Statistiche alla mano, il virus Sars-CoV-2, responsabile della malattia COVID-19, ha infettato oltre 780 milioni di persone in tutto il mondo, causando più di 7 milioni di decessi. Tuttavia, a tali stime, registrate dell’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS), vanno aggiunte le morti correlate all’impatto indiretto sui sistemi sanitari, portando il totale a circa 15 milioni di decessi.
Nelle prime fasi di diffusione, il virus Sars-CoV-2 fu riconosciuto come un agente patogeno che colpiva principalmente i polmoni , connotando il COVID-19 come una malattia respiratoria. Le evidenze hanno poi dimostrato gli effetti molto estesi su diversi organi, con il cuore ed i vasi sanguigni tra i bersagli principali.
La ricerca ha messo in luce un collegamento significativo tra il COVID-19 e l’aterosclerosi, una patologia cronica in cui le arterie si induriscono e si restringono a causa della presenza di placche ricche di lipidi. L’aterosclerosi è alla base della maggior parte delle malattie cardiovascolari , prima causa di mortalità al mondo.
Comprendere pertanto questa connessione ci aiuta non solo a capire meglio gli effetti del virus sul nostro corpo, ma apre anche nuove prospettive cliniche per tutelare la salute cardiovascolare nel mondo post-pandemico.
L’aterosclerosi è una malattia che colpisce le arterie, quei “tubi” vitali che trasportano il sangue ricco di ossigeno dal cuore a tutto il corpo compreso al cuore stesso. Nel tempo, al loro interno può accumularsi un mix di grassi, colesterolo e cellule infiammatorie, che danno origine alle placche. Si immagini il calcare che si forma dentro i tubi dell’acqua: succede qualcosa di simile nelle nostre arterie. Le pareti diventano meno elastiche, più spesse, e lo spazio per il passaggio del sangue si restringe.
Il vero pericolo, però, non è solo il restringimento. Una placca può improvvisamente rompersi e innescare la formazione di un coagulo (trombo) che blocca completamente il flusso sanguigno. Da qui, il rischio di infarto cardiaco o ictus al cervello . Le arterie più colpite sono spesso quelle che portano sangue al cuore (coronarie), al cervello (carotidi) e alle gambe.
Tra i fattori di rischio principali troviamo l’età, il fumo, la pressione alta, il diabete, l’aumento del colesterolo Ldl , l’obesità e la familiarità. Anche lo stress cronico e alcune malattie infiammatorie possono peggiorare la situazione.
Anche se il COVID-19 è noto per i suoi effetti respiratori, in realtà il virus può colpire duramente anche il sistema vascolare. Sia il COVID-19 che l’aterosclerosi hanno un punto in comune: l’infiammazione. L’infezione da SARS-CoV-2 scatena una forte risposta infiammatoria, con rilascio di citochine, molecole che attivano il sistema immunitario. Nei casi più gravi, si può arrivare a una “tempesta citochinica”, una reazione esagerata che può danneggiare gravemente i tessuti, comprese le arterie.
Per chi soffre già di aterosclerosi, questo è un pericoloso cocktail: le placche infiammate diventano instabili, più propense a rompersi e portare alla formazione di trombi anche perché il virus colpisce l’endotelio, il rivestimento interno dei vasi sanguigni, compromettendone il funzionamento. Anche lo stress ossidativo, cioè la produzione eccessiva di prodotti nocivi come i radicali liberi, contribuisce ad aggravare il danno vascolare.
Ecco perché le persone con problemi cardiovascolari sono più esposte a forme gravi di COVID-19. È un legame bidirezionale, che può lasciare strascichi anche dopo la guarigione.
Questa connessione ha un impatto concreto su come medici e ospedali trattano i pazienti. Chi soffre di aterosclerosi, spesso anziani, diabetici ed ipertesi, è particolarmente vulnerabile al virus. E non è solo questione di “probabilità”: la combinazione di infiammazione cronica e disfunzione vascolare rende il loro corpo un terreno più fertile per le complicanze gravi.
Un attento monitoraggio è necessario per individuare segni di trombosi, infarto, ictus e miocardite nei pazienti COVID, specialmente in chi ha una storia cardiovascolare. E i rischi non svaniscono con la guarigione: molte persone sviluppano problemi cardiaci anche settimane o mesi dopo essere risultate negative.
Per questo, si sta diffondendo l’idea di un follow-up post-COVID mirato, con controlli cardiologici regolari per i pazienti più a rischio .
Un altro punto cruciale è la prevenzione. Vaccinarsi contro il COVID-19 non protegge solo i polmoni, ma può anche evitare stress inutili al cuore e alle arterie. Durante la pandemia, molti hanno trascurato terapie e controlli. Oggi sappiamo quanto sia pericoloso abbassare la guardia.
Le implicazioni pervenute dall’emergenza sanitaria e la più approfondita conoscenza del COVID-19 ci costringe a rivedere il nostro approccio alla salute cardiovascolare. La pandemia ha dimostrato quanto sia importante non separare la gestione delle malattie croniche dal monitoraggio delle infezioni virali.
Nel mondo della ricerca, si stanno identificando biomarcatori per prevedere chi rischia di più e sviluppare terapie mirate contro l’infiammazione e la disfunzione vascolare.
In ambito clinico, si va verso un modello più personalizzato, che considera anche la storia virale del paziente. E a livello di salute pubblica, diventa sempre più evidente l’importanza di educazione, prevenzione e tecnologie digitali, come la telemedicina o i dispositivi indossabili, per monitorare e intervenire in tempo nei pazienti a rischio .
La crisi pandemica ci ha insegnato che un virus respiratorio può avere effetti devastanti sistemici, su cuore e arterie inclusi. Riconoscere e continuare a studiare il legame tra COVID-19 ed aterosclerosi è di fondamentale importanza e permette di rafforzare la prevenzione. Solo così possiamo proteggerci meglio oggi e preparaci alle sfide di domani.
Dott Mattia Vinciguerra
Medico in Formazione specialistica in Cardiochirurgia Meds13-C
Dottorando di Ricerca – Medicina e Chirurgia – Università Europea di Roma